Intervista ad Elena Arvigo, in scena “Una ragazza lasciata a metà”

Una Voce di Donna al Teatro di Sacco, il racconto di "Una ragazza interrotta"

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Domenica 9 dicembre 2018, alle ore 21.00 in Sala Cutu va in scena “Una ragazza lasciata a metà” con Elena Arvigo.

(Info & prenotazioni 3206236109)

La stagione INDIZI 2018-2019 di Teatro di Sacco prosegue perciò con un ospite d’eccezione.

Una ragazza lasciata a metà

Elena Arvigo, attrice genovese allieva di Strehler, è un’ artista completa, ha avuto una preparazione iniziale di danza, per poi dedicarsi alla recitazione, alla regia, alla drammaturgia. Preparazione che è rimasta, perché: “la parola è corpo, e la voce non è staccata dal corpo e si sente molto la differenza”, afferma Elena durante l’intervista che segue.  “Il corpo deve vibrare, deve muoversi, deve cogliere la vibrazione, deve essere pronto al cambiamento”.

 

Elena Arvigo

Interprete anche di molte serie Tv , La piovra 10, Perlasca, Commesse e Sotto il cielo di Roma e di film per il cinema tra i quali Tutta la vita davanti di Virzì.

Ultima apparizione  nel “Principe Libero”, il biopic di Luca Facchini in anteprima nazionale lo scorso gennaio al cinema sull’  indimenticato cantautore genovese Faber, trasmesso poi su  Rai 1.

Progetto al quale Elena, anch’essa genovese, ha fatto molto piacere partecipare. “E’ sempre positivo che si parli di  Fabrizio De Andrè  piuttosto che di  Fabrizio Corona”. Digressione, e constatazione condivisa, durante l’intervista all’attrice, rivelatasi in realtà una piacevole conversazione.

La passione di Elena è il teatro, mestiere non sempre riconosciuto, che sembra non abbia la necessità di essere retribuito, al di là dei riconoscimenti artistici, mentre è chiaro che fare cinema è retribuito. Gli attori di teatro sono spesso costretti  a fare “giochi di prestigio”, in un mondo “bizzarro”. Forma di violenza economica che andrebbe analizzata, risolta.

Una ragazza lasciata a metà, una voce interrotta

 

La piéce teatrale è tratta  dall’omonimo  romanzo d’esordio della scrittrice irlandese Eimear Mcbride, libro rivelazione definito  della critica un ‘disturbante capolavoro’, racconto di una  ragazza che non ha un nome  ma ha una voce. La voce splendida di Elena alla quale abbiamo posto alcune domande sullo spettacolo.

Elena, perché il romanzo di Eimear Mcbride è stato definito ‘disturbante’ dalla critica?

“Disturbante sembra una cosa negativa,che ti disturba,  ti turba. Una ragazza lasciata a metà

è sorella di un certo tipo di personaggi che io amo molto.

Mi è stato segnalato da Rodolfo Di Gianmarco che l’ha visto ad Edimburgo”. La  scrittrice  è stata giustamente molto celebrata in Inghilterra, in America, ha vinto un premio molto importante. Viene considerato un piccolo gioiello se non vogliamo dire capolavoro”.

Elena ha curato l’adattamento del romanzo per la trasposizione teatrale. Narrazione che, spiega: “Ti costringe ad un ascolto differente, a livello linguistico succede che il verso libero in una ragazza lasciata a metà ti costringe al non giudizio, mentre in 4:48 Psychosis il verso poetico ti costringe a non essere rassicurata dall’idea della follia”. 

L’attrice ha debuttato  a marzo in teatro a Roma con la cosiddetta  “Triologia Arvigo”, composta da tre monologhi:“Il dolore”“4:48 Psychosis” e “Una ragazza lasciata a metà”,  per il quale ha avuto un bel riconoscimento, ritratto d’artista.

E’ chiaro che l’ informazione, al contrario propone sicurezze, seppur fallaci, Elena. E’ quello che interessa al potere, come può interagire l’arte in una situazione quantomeno bizzarra?

 “L’informazione ci costringe ad avere un opinione falsata dalla manipolazione della stessa. E’ chiaro che è più rassicurante vedere le cose in maniera netta. Dobbiamo invece rassegnarsi ad essere talvolta spettatori, talvolta testimoni ed anche a ricevere questa complessità del’umano. L’essere umano è complesso, non è necessario sempre avere un opinione, deve essere disturbante nel senso che ti sposta, dipende dal nostro ruolo”.

Ovvero, ciò che accade nei programmi televisivi?

 “L’informazione ci costringe ad avere un opinione, noi non possiamo avercela. Ad esempio, non possiamo sapere quando sarà ricostruito il Ponte di Genova, non è il nostro compito, è di altri. Ormai siamo tenuti a questo balletto ridicolo. E’ necessario che l’arte si prenda questa responsabilità. Questo è il grande passaggio che ci consente. Non siamo ne giudici ne avvocati. L’essere umano è complesso, e le situazioni ancora di più. Non è possibile avere una vera opinione poiché non potremmo mai essere abbastanza informati sui fatti. Dobbiamo rassegnarci ad essere talvolta spettatori, talvolta testimoni della complessità umana”.

Chi è la protagonista del romanzo? Una donna violata, molestata?

“Non ho mai letto qualcosa in cui la molestia viene indagata in maniera così scabrosamente reale e intima.

E’ una ragazza disturbata socialmente, fa una vita un po’ dissoluta, non riesce ad integrarsi bene nella società. In realtà è una vittima un po’ del sociale, e in questo senso il giudizio deve essere sospeso, e deve subentrare la compassione, nel senso non cattolico ma etimologico, nel senso di capire, soffrire guardare insieme. Se ci si mette dal suo punto di vista si capisce quanto questa sensibilità, questa intelligenza è estremamente sviluppata in questo personaggio che non ha un nome. L’altra metà è il fratello con il quale ha un rapporto simbiotico, e che per una malattia avuta da piccolo una malattia rimane un po’ ritardato. Loro hanno questa sorta di adolescenza insieme con questo padre che va via, sono cresciuti dalla madre. La cosa straordinaria è come viene raccontato, la sintassi esplode. E’ una ragazza interrotta.  Nei suoi racconti in prima persona si passa dalla prima alla terza persona. Si coglie la difficoltà ad interpretare senza soluzione di continuità ruoli differenti. Lei, attraverso il racconto che passa da una parte all’altra ti costringe a togliere il confine. I confini tra le cose sono difficili.

Lo zio che fa le veci del padre è un molestatore, chiaramente una figura negativa, che in questa situazione diventa anche un conforto”. Il rapporto simbiotico con il fratello durante l’infanzia,  si trasforma durante il passaggio all’adolescenza, lui rimane indietro, mentre lei va avanti, e questo diventa dolorosissimo per lei”.

C’è perciò un distacco dal nucleo familiare?

C’è un distacco perché lei va via a studiare, rimane un cordone ombelicale fortissimo che la lega alla madre, al fratello, e allo zio che fa le veci del padre in maniera sbagliata, malata. Però indagata in modo differente, ti rendi conto, come dice Sara Cain che a volte la scelta viene dopo. Ad un certo punto dirà, ed è bellissimo:

‘sono un tale pasticcio di vergogna, di carne di sangue’.

Consapevolezza del dolore che si trasforma in grandissima vitalità”.

Le tue emozioni nel fare questo spettacolo?

“E’ stato lo spettacolo più faticoso che ho fatto, è meno universale rispetto ad altri. Solo a parlarne sento quanto pregiudizio abbiamo”. Io faccio questo spettacolo per ricordarlo a me, perché non sono immune dai pregiudizi, perché un po’ ci si deve difendere”.

C’è voluto coraggio nell’interpretare la protagonista?

“Prima di tutto energia, forza. Io dedico gran parte del mio lavoro alle donne, al femminile, perché sono una donna e perché nel lavoro che scelgo sono gli argomenti che istintivamente mi attraggono sempre. Il mio nuovo spettacolo è sulle lettere nelle case chiuse. Mi rendo conto che le cose che resistono alle intemperie produttive sono questi argomenti. Oppure queste autrici come per esempio il dolore di Marguerite Duras, altra autrice che amo moltissimo. Mi sento una miglior interprete di questo tipo di sensibilità, mi piace il modo non banale non convenzionale che hanno le donne, una visione molto originale”.

Il mestiere di essere fragile, laboratorio di recitazione

“Un’altra cosa che amo moltissimo sono i laboratori di recitazione, il laboratorio ha un titolo, si chiama il mestiere di essere fragile, e lo porto in giro nei teatri, scuole. Per me è stato una rivelazione, lavoro con professionisti, persone che vogliono fare questo mestiere, mi sento più giusta per questo”.

I tuoi prossimi  progetti?

“Nei prossimi mesi sarò molto impegnata con la trilogia, l’anno prossimo è vent’anni che non c’è Sarah Kane” (autrice britannica morta suicida a ventotto anni,  e sarà l’ hashtag comunicativo per “4.48 Psycosis”.  (il quinto ed ultimo dei testi scritto dall’autrice prima del precoce suicidio all’età di ventotto anni).

Appuntamento da non perdere perciò alla sala Cutu con Elena Arvigo in Una ragazza lasciata a metà, con la speranza di poter vedere  al completo la trilogia di questo splendido ritratto d’artista, una voce di donna da ascoltare, in un corpo che vibra.

 

 

 

 

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