“A casa tutti bene” di Gabriele Muccino

Gli infiniti paradossi di una grande famiglia allargata, sono interpretati da venti attori scelti tra i volti più amati del cinema italiano

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Gabriele Muccino sceglie un “cast stellare” per il suo undicesimo film, “A casa tutti bene”. Gli infiniti paradossi di una grande famiglia allargata, sono interpretati da venti attori scelti tra i volti più amati del cinema italiano. Occasione della riunione familiare sarà la chiamata di Pietro e Alba, interpretati rispettivamente da Ivano Marescotti e Stefania Sandrelli che festeggiano le nozze d’oro ad Ischia, l’isola dove hanno deciso di passare la vecchiaia e invitano i tre figli, Carlo, Paolo e Sara, interpretati da Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi e Sabrina Impacciatore e i figli della sorella di Pietro, Sandro (Massimo Ghini) e Riccardo (Gianmarco Tognazzi), con al seguito i rispettivi ex partner, partner e figli. E così, vediamo scorrere sullo schermo una costellazione familiare variegata, inquieta e nevrotica che si imbarca in un traghetto per partecipare ad un pranzo che potrebbe sembrare natalizio, poiché corredato di cerimonia in chiesa, la celebrazione delle nozze di Pietro e Alba. Fintantoché la “reunion” è a scadenza temporale, tutti i protagonisti, dei quali riusciamo a capire i rapporti interpersonali e i conflitti sopiti solo se forniti di block notes con il tracciato dell’albero genealogico completo, riescono a contenere le nevrosi individuali dalle quali sono affetti, nessuno escluso.

Forse, dopo dodici anni ad Hollywood il regista romano de “L’ultimo bacio” & C.”, specialista nell’assolvere la famiglia a prescindere dai conflitti sentimentali e d’interesse, non ci crede più. “Dicono che la famiglia sia il nostro punto di partenza, poi di fuga e alla fine diventi quello di ritorno” è una delle frasi celebri del film, espressa da Stefano Accorsi, nel ruolo di Paolo il figlio artista e scrittore, naturalmente frustrato, alla “recherche du temps perdu”, ovvero una vita normale.

E che nessuna vita è normale si percepisce in un primo tempo ansiogeno dove tutti urlano allegramente esprimendo un conflitto tra il sé e l’immagine di sé squisitamente junghiano. Lo splendore di Ischia sullo sfondo potrebbe essere visibile allo spettatore solo togliendo l’audio. Cantano tutti insieme “Bella senz’anima”, e forse il senso, l’amaro sarcasmo espresso dal regista è tutto qui, anche se allo spettatore lo lascerà solo intendere, perché mettere in discussione la famiglia è tutt’ora atto sacrilego.

Atto che si compie poiché tutti i protagonisti adulti saranno in preda ad un’ isteria collettiva. Riescono a sorridere e far finta di niente soltanto fino a quando, costretti a causa di un imprevisto a passare la notte nell’isola, esplode, prepotente, il nervo scoperto di ognuno. Tutti, nessuno escluso, potenziali pazienti dei seguaci di Freud, laddove l’eventuale guarigione è esclusa a priori.

Tra le figure femminili emerge il ritratto impietoso di una donna tossica, possessiva e gelosa, nel ruolo della seconda moglie di Carlo, interpretata da Carolina Crescentini che attiva senza sosta sensi di colpa nei confronti del marito, insulta la ex moglie di lui strumentalizzando i propri figli e la figlia del precedente matrimonio dell’uomo che sostiene di amare, uno stereotipo purtroppo reale di tutto ciò che una donna, moglie e madre non dovrebbe mai essere.

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